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Sab 28 Apr 2012, 21:42
Fitormoni

Gli ormoni sono dei messaggeri chimici che, una volta prodotti da una delle tante ghiandole del sistema endocrino (ipotalamo, ipofisi, tiroide, surreni, ovaie, testicoli ecc.), entrano nel sangue per attivare od inibire a distanza la funzione di un’altra ghiandola o di un organo del corpo che, in questo caso, sono definiti “organi bersaglio”.

L’ipotalamo ad esempio invia messaggi sotto forma di ormoni all’ipofisi che a sua volta invia altri ormoni agli organi bersaglio. Questi, a loro volta comunicano con l’ipofisi mediante altri ormoni in un perfetto sistema di comunicazione a circuito chiuso (feed back).

É quindi facile pensare che, se il messaggio impartito è sbagliato sin dall’inizio, o che se qualcosa si modifica nel circuito, tutto il sistema di feedback può non funzionare correttamente.

In realtà molti dei problemi ormonali che spesso si verificano nell’organismo, sono legati proprio ad un evento di questo tipo. Pertanto la soluzione migliore affinché non si crei una disfunzione ormonale è, o evitare che il messaggio sbagliato venga creato all’origine o, meglio ancora, che esso sia messo in circolo.

Quest’intervento terapeutico si fa introducendo nell’organismo delle sostanze ormono-simili, in grado cioè di sostituirsi a quelle sbagliate o in grado di riprodurre, in modo corretto, la loro stessa azione. I fitormoni sono le sostanze ormono-simili che vengono usate in questi casi.

Si tratta di sostanze vegetali, presenti quindi in molte piante, dotate di grande disponibilità e manegevolezza, che possono essere impiegate facilmente, come vedremo, in molte patologie maschili e femminili di origine endocrina. Ma, vediamo innanzitutto quali sono le piante da cui derivano i principali fitormoni.

I semi di soia sono sicuramente i più popolari. Abbiamo poi il trifoglio rosso, la radice di liquerizia, il don quai, la cimicifuga, l’agnocasto, la patata selvatica americana, il ginseng, la palma nana e la rhodiola.

I fitormoni presenti in queste piante sono di tipo diverso e quindi hanno anche effetti diversi sulla regolazione ormonale. Vedremo pertanto qual è il composto fondamentale presente in ognuna di esse e quali sono i risultati migliori che si possono ottenere nelle varie patologie, tenendo conto che prima di ogni intervento bisogna essere certi che i sintomi lamentati siano provocati unicamente da uno squilibrio ormonale e non da altre cause.

Ma soffermiamoci innanzi tutto su alcune spiegazioni di carattere funzionale che ci consentiranno di comprendere meglio l’argomento. Quando i vari ormoni vengono rilasciati nel sangue, il loro unico modo di agire è quello di entrare in contatto con le cellule bersaglio, legandosi a degli specifici recettori presenti sulla superficie cellulare.

I recettori ormonali sono, infatti, delle particolari strutture sensibili solo ad uno specifico ormone. In più ogni cellula ha un numero finito di recettori destinato solo e soltanto ad uno specifico ormone.

Inoltre, una volta che l’ormone si è attaccato al suo recettore, nessun’altra sostanza può a sua volta attaccarsi. Quando i recettori sono completamente saturati, gli ormoni in sovrappiù vengono distrutti dal fegato.

Gli effetti degli ormoni sull’organismo dipendono pertanto dalla quantità di ormoni che si attaccano ai recettori della cellula bersaglio. Se ad esempio c’è una carenza di estrogeni (ormoni femminili) nel sangue, non tutti i recettori saranno saturati e questo, come avviene nella menopausa, provocherà degli specifici sintomi.

Al contrario, se c’è invece un’abbondanza di estrogeni nel sangue, i ricettori risulteranno saturati al massimo e quindi i sintomi saranno quelli di un eccesso ormonale, come avviene ad esempio nella sindrome premestruale.

Per assicurare poi un perfetto controllo sulle quantità di ormoni presenti nel sangue, dal momento che il fegato elimina quelli in eccesso, occorre che quest’organo funzioni correttamente (di fronte ad un eccesso ormonale, estrogeni in particolare, bisogna quindi valutare anche la funzionalità epatica (nelle epatiti e nella cirrosi infatti, quando il fegato non funziona correttamente, gli estrogeni aumentano in modo patologico).

Oltre al fegato, un ruolo di controllo importante sull’eccesso ormonale viene svolto anche dai batteri presenti nell’intestino. L’intestino deve pertanto funzionare perfettamente, pena il venire meno di quest’importantissima funzione ed il rischio di trovare nel sangue sostanze ormonali alterate, ma ancora efficaci per dare altri problemi.

Indispensabile dunque, oltre alla buona funzionalità del fegato anche la cosidetta “eubiosi intestinale”, cioè il mantenimento di quella flora batterica sana che assicura con la sua presenza il regolare svolgimento delle funzioni intestinali (vedi Colon Idro Terapia). Ma torniamo nuovamente ai fitormoni.

Nella soia e nel trifoglio rosso, i costituenti fondamentali dei fitormoni sono gli isoflavoni, a loro volta suddivisi in genistina e daidzeina.

Anche se la concentrazione di isoflavoni nel trifoglio rosso è dieci volte superiore rispetto a quella della soia, la soia ha il grande vantaggio di essere commestibile e quindi di poter entrare facilmente nella dieta.

In ogni caso l’effetto ormonale svolto da queste due piante può essere, sia un efficace effetto antiestrogenico, sia un debole effetto proestrogenico.

Questa apparente contraddizione ha una spiegazione scientifica che parte dai recettori ormonali di cui abbiamo parlato prima. Supponiamo, infatti, che la persona da trattare abbia un eccesso di estrogeni nel sangue.

In questo caso i recettori cellulari funzioneranno al massimo della loro capacità di captazione e quindi gli effetti degli ormoni sull’organismo saranno altrettanto elevati. Per attenuare tuttavia questi effetti noi possiamo usare gli isoflavoni contenuti nella soia.

Dal momento, infatti, che i fitormoni della soia hanno una struttura molecolare molto simile a quella degli estrogeni naturali, essi sono in grado di attaccarsi agli stessi recettori degli ormoni naturali, sostituendosi ad essi.

Poiché tuttavia i fitormoni hanno una bassissima attività estrogenica rispetto a quella degli ormoni naturali (1-1000), da un lato il loro effetto estrogenico sarà molto modesto e quindi tale da non aggiungersi a quello, già oltre i limiti, degli ormoni naturali, dall’altro con il blocco competitivo del recettore, essi saranno in grado di attenuare l’azione degli stessi ormoni naturali.

Per ottenere questo risultato gli isoflavoni devono essere somministrati per un lungo periodo (almeno due-tre mesi), in modo da accrescerne il più possibile la quantità nel sangue e quindi aumentare la loro possibilità di competere con gli ormoni naturali.

Per quanto riguarda invece l’effetto proestrogenico, questo diventa ovviamente più efficace solo quando gli ormoni naturali nel sangue sono estremamente ridotti, come ad esempio nel caso della menopausa. In questa situazione, anche se, come abbiamo visto, i fitormoni sono di gran lunga meno efficaci rispetto agli ormoni naturali, la loro azione può essere sufficiente a bloccare certi sintomi della postmenopausa, come le vampate e l’osteoporosi.

La conferma di ciò viene dalle donne asiatiche che consumano ogni giorno piatti a base di soia in cui sono contenuti circa cento-cintocinquanta milligrammi di isoflavoni. In effetti, si è visto sperimentalmente che l’azione preventiva si ottiene consumando dai quaranta agli ottanta milligrammi di isoflavoni al giorno, mentre l’azione terapeutica richiede dagli 80 ai 150 mg al giorno.

Ad ogni modo gli isoflavoni sono più efficaci come antiestrogeni nella sindrome premestruale che non come proestrogeni nella postmenopausa.

La loro indicazione comprende comunque, oltre alla sindrome premestruale e ai sintomi della menopausa, l’osteoporosi, l’endometriosi, i fibromi uterini, le cisti ovariche, le malattie del seno e della prostata.

Gli isoflavoni sono inoltre dei potenti antiossidanti su molte strutture dell’organismo. Hanno poi un effetto positivo sul blocco dell’angiogenesi, la crescita cioè di nuovi vasi, in particolare di tipo tumorale, con un’azione simile a quella di altre sostanze come ad esempio la cartilagene di squalo.

Agiscono inoltre positivamente sull’osteoporosi favorendo l’attività degli osteoblasti (che costruiscono l’osso) ed inibendo quella degli osteoclasti (che distruggono l’osso).

Quest’effetto viene potenziato anche dall’aumentata secrezione di calcitonina dalle paratiroidi (ghiandole endocrine secernenti il paratormone che regola il livello del calcio nel sangue). In più gli isoflavoni hanno un’azione protettiva sull’apparato cardiovascolare, sia direttamente, sia assieme alle saponine, ugualmente contenute nella soia.

Le saponine, infatti, favoriscono con la loro presenza nell’intestino l’escrezione degli acidi biliari che in questo modo non possono essere riassorbiti dal fegato. Il fegato pertanto è obbligato a ricostruire gli acidi biliari partendo dal colesterolo che in questo modo è rimosso dal sangue abbassando il rischio di aterosclerosi.

Venendo ora alla radice di liquerizia, va detto che gli isoflavoni in essa contenuti, hanno un’azione prevalentemente antiestrogenica che favorisce tuttavia il mantenimento di un buon livello di progesterone (ormone femminile tipico della gravidanza, ma presente anche nel ciclo mestruale assieme agli estrogeni).

Per questo la radice di liquerizia è indicata nella sindrome premestruale ancora di più del trifoglio rosso o della soia. La radice di liquerizia ha inoltre un effetto positivo sulle ghiandole surrenali dove migliora il metabolismo del cortisolo, ormone dello stress per eccellenza.

Agendo tuttavia sulle surrenali, la radice di liquerizia coinvolge anche un altro ormone, l’aldosterone (che favorisce la ritenzione idrica e quindi l’ipertensione). Da qui l’esistenza di un rapporto diretto ipertensione-liquerizia di cui va tenuto conto.

Nei confronti dell’aldosterone tuttavia, la liquerizia può avere un effetto bivalente, antiormonale a bassi dosaggi, proormonale ad alti dosaggi. La difficoltà maggiore è stabilire individualmente i dosaggi delle due diverse azioni.

In ogni caso, per trattare le ipertensioni essenziali o la sindrome pre-mestruale (entrambi con iperaldosteronismo e ritenzione di sodio) si può tentare di assimilare poca liquerizia assieme a tanto magnesio che riduce competitivamente la quantità di sodio nelle cellule.

Per quanto riguarda invece il dong quai (Angelica sinensis) si tratta di uno dei fitoestrogeni tra i più versatili. Viene, infatti, utilizzato dalla medicina tradizionale cinese già da centinaia di anni. E’ l’erba non occidentale più diffusa negli Stati Uniti.

La sua attività proestrogenica è più potente di quella degli altri isoflavoni (1-400 contro 1-1000), mentre quella antiestrogenica è minore. Va meglio quindi per la menopausa che non per la sindrome premestruale.

É inoltre un tonico in grado di controllare la contrazione dell’utero. In molti casi è stato usato nell’amenorrea per far tornare le mestruazioni e nella dismenorrea per controllare il dolore.

É stato impiegato anche nei casi d’infertilità femminile ed in quelli di cisti ovariche soprattutto in associazione alla palma nana. Venendo ora alla cimicifuga, si tratta di una pianta utilizzata dagli indiani d’America fin dall’antichità.

Possiede un’attività soprattutto proestroegenica ed ha la capacità di ridurre l’effetto dell’ormone luteinizzante (LH) rilasciato dall’ipofisi che fa produrre il progesterone alle ovaie.

Durante la menopausa, la mancanza di progesterone, obbliga l’ipofisi a rilasciare LH proprio per stimolare le ovaie ad aumentare il livello del progesterone. Questo però mantiene bassi i livelli di estrogeni.

La cimicifuga agendo sul LH può pertanto controllarne l’effetto e migliorare in questo modo la presenza di estrogeni soprattutto durante il passaggio climaterico (pre menopausa). E’ quindi particolarmente indicata nella menopausa vista la sua efficacia documentata in numerosi casi in cui la sua azione è risultata migliore, dal punto di vista fisico e psichico, degli estrogeni sintetici, senza tuttavia i rischi che questi presentano.

I migliori risultati si hanno dopo almeno due mesi di trattamento, anche in alternativa agli ormoni tradizionali. La cimicifuga sembra, infatti, assomigliare nel suo effetto più all’estriolo (ormone femminile) che non all’estradiolo (forma modificata ben più attiva, ma con maggiore rischio di tumore rispetto all’estriolo). L’agnocasto, altro fitoestrogeno, agisce invece in modo opposto alla cimicifuga.

Aumenta, infatti, l’effetto del progesterone ed ha un’attività antiestrogenica elevata. Per questo è bene non utilizzarlo da solo, ma assieme alla cimicifuga. Al contrario della cimicifuga l’agnocasto aumenta, infatti, l’LH e quindi dopo pochi giorni anche il livello di progesterone.

La presenza di progesterone tiene bassa la stimolazione del FSH (ormone che stimola il follicolo dell’ovaio a produrre estrogeni) e quindi degli estrogeni. Va bene in tutti i casi si debba combattere un iperestrogenismo e quindi nella sindrome premestruale, nelle poliposi uterine, nelle endometriosi e nelle cisti ovariche.

Anche se il costo di queste sostanze spinge ad un uso saltuario (solo i 10-14 gg prima del ciclo), il risultato terapeutico migliore si ha solo con un consumo continuo per lunghi periodi. Per quanto riguarda invece la patata selvatica americana è l’unica erba di cui non si hanno ancora prove certe di funzionamento come ormone.

Sembra comunque che essa contenga un precursore del progesterone, la diogenina. Il corpo umano tuttavia non ha gli enzimi per trasformare la diogenina in progesterone. Questo viene fatto in laboratorio ed il prodotto finale viene poi etichettato come progesterone naturale.

Il panax ginseng ha invece una forte attività proestrogenica. Per questo è sconsigliato il suo uso in caso di cancro alla mammella. Il ginseng controlla poi la secrezione degli ormoni corticosurrenalici, come l’ACTH ed il cortisolo che è l’ormone principe dello stress (azione simile a quella della liquerizia).

La palma nana (Serenoa repens) è un fitoestrogeno molto interessante che contiene anche degli acidi grassi. L’azione primaria della palma nana è quella di inibire il deidrotestosterone, derivato del testosterone. Il testosterone viene, infatti, trasformato in deidrotestosterone e quest’ormone è responsabile dell’ipertrofia (allargamento) prostatica per moltiplicazione cellulare.

Maggiore è la quantità di deidrotestosterone, maggiore è il disturbo della prostata (ghiandola dell’apparato riproduttivo maschile). Per combattere questa malattia la medicina usa gli antiandrogeni (anti ormoni maschili). Questi tuttavia agiscono sia sul deidrotestosterone sia sul testosterone, provocando disturbi collaterali come ad esempio l’impotenza.

La palma nana è stata quindi impiegata negli studi clinici sull’ipertrofia prostatica in antitesi agli antiandrogeni. Sembra che gli acidi grassi in essa contenuti blocchino il collegamento tra i recettori cellulari ed il deidrotestosterone.

In più essa possiede un enzima che blocca la trasformazione del testosterone in deidrotestosterone, abbassando il livello di quest’ormone responsabile dell’ipertrofia prostatica senza provocare la caduta del testosterone e quindi la comparsa d’impotenza.

Con il suo impiego, si possono dunque eliminare gli svantaggi del deidrotestosterone, pur mantenendo i vantaggi del testosterone, con un successo terapeutico vicino al 70-80%. Va ricordato inoltre che quando il deidrotestosterone si accumula sulla cute in corrispondenza di capelli o peli, li può soffocare provocandone la caduta (calvizie).

A favorire questo pericolo è anche la presenza di radicali liberi. La palma nana ha un effetto positivo anche su questa malattia. La dose consigliata per i capelli è tre volte quella della prostata.

Nelle donne con cisti ovariche e caduta di capelli si può usare la palma nana associata al dong quai. Nella donna la palma nana produce quindi più capelli in testa e meno peli. Nell’uomo invece produce più peli e più capelli.

L’effetto della palma nana viene potenziato dalla vitamina B6 e dallo zinco. Essa pertanto è indicata nei disturbi della prostata, nell’impotenza, nella perdita dei capelli, nelle cisti ovariche, nell’irsutsmo e nella calvizie.

Infine, l’ultima pianta del gruppo è la rhodiola. La rhodiola cresce in Siberia ed ha come effetto quello di stimolare la secrezione di ormoni corticosurrenalici per affrontare meglio le condizioni di stress.

E’ forse la sostanza più efficace in questo senso, migliore ancora del gingseng soprattutto nei casi di stress da depressione e di ansia da fatica. Aumenta, infatti, del 30% il livello della serotonina e della dopamina (neurotrasmettitori cerebrali).

Diminuisce l’effetto delle MAO (monoaminossidasi, enzimi che distruggono appunto le amine come la serotonina e la dopamina). Aumenta la capacità di risposta del cervello. Aumenta il 5-idrossitriptofano (precursore della serotonina, quindi è efficace anche per regolarizzare fenomeni come l’anoressia e la bulimia).

Aumenta infine le capacità sessuali maschili. Attualmente non è disponibile in Italia. Per concludere questo capitolo, voglio brevemente ricordare che i sintomi causati da un eccesso di estrogeni si manifestano con ansia, instabilità, tensione nervosa, insonnia e cefalee.

Nel caso opposto, la mancanza di estrogeni, causa invece, depressione, attacchi di pianto e perdita della memoria. Se c’è un eccesso di aldosterone e progesterone si ha invece afflosciamento del seno, ritenzione idrica ed aumento di peso.



















































Giorgio Donadel Campbell, Medico chirurgo Specialista in chirurgia generale, chirurgia vascolare e cardiochirurgia.
Già Aiuto dell’Istituto di Chirurgia Cardiovascolare dell’Università di Padova
Presidente dell’Associazione Medica Italiana di Colon Idro Terapia
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