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Lun 25 Lug 2011, 08:41
Dottor Daniele Ugolini http://danieleugolini.eu/


Sindrome Fibromialgica:

proposta di trattamento trans-disciplinare.


Abstract:

La Fibromialgia è una Sindrome caratterizzata da: un’alterazione infiammatorio-disfunzionale della fascia, un’alterazione del sistema somatosensoriale, una sensibilizzazione reattiva centrale di tipo
allodinico.

Un intervento articolato che vada a lavorare in contemporanea sulla noxa periferica (la fascia), sul sistema somatosensoriale (disturbo posturale) e sulla sensibilizzazione centrale (neuroinduzione delle
strutture nervose) può senza dubbio produrre miglioramenti apprezzabili della qualità di vita nella Sindrome Fibromialgica (SF) e nelle sindromi allodiniche in generale, perché agente, in ipotesi, sia sui sintomi che sulle cause.

Stato attuale:

Nel materiale bibliografico viene riportato quanto segue:



  • La fibromialgia è una malattia caratterizzata da dolori muscolari diffusi non correlati a disfunzioni
    articolari, delle ossa o dei tessuti connettivi e accompagnata spesso a disturbi del sonno.


  • È caratteristica della fibromialgia l’allodinia, ovvero la reazione dolorosa a stimoli che normalmente sono sotto soglia.

  • Non è stata riscontrata nessuna prova definitiva della patologia muscolare, tuttavia, vi sono alcuni
    risultati della presenza di una disfunzione del tessuto connettivo intramuscolare o della fascia.


  • L'ipersensibilità generalizzata associata alla sindrome fibromialgica può in parte essere sostenuta da fonti periferiche nocicettive.

  • La fibromialgia è considerata come una combinazione di handicap fisico, psicologico e sociale.

  • In sintesi: si può arrivare a definire la fibromialgia quando non esiste altra condizione clinica apparente.


Lettura integrata:

In realtà, a ben osservare, nella SF troviamo alcuni aspetti interessanti su cui riflettere:



  • Una disfunzione da ipersensibilizzazione centrale, con aumento di sostanza P,
    neurotrasmettitore infiammatorio (insieme agli Amminoacidi Eccitatori,
    AE), come nel quadro della Depressione


  • Un’alterazione della qualità del sonno (iperattività del locus coeruleus, LC, durante la fase REM)

  • Una "Miniature Compartment Syndrome" (MCS), ovverosia una sindrome del comparto

  • endoneuronale

  • Uno stato infiammatorio fasciale

  • Un’alterazione del profilo somatosensoriale


A livello dell’ippocampo, infatti, studi hanno messo in evidenza un perturbato rapporto dei metaboliti, che risente positivamente del trattamento antidepressivo con inibitori serotoninergici della ricaptazione della noradrenalina.

Questo sembra spiegabile per due fattori: l'ippocampo è la struttura delle memorie storiche (con l'amigdala che è invece la sede delle memorie emozionali) e la noradrenalina, precursore dell’adrenalina, è il neurotrasmettitore elettivo del LC.

In genere le disfunzioni del LC si manifestano con una iper-attività della struttura durante la fase REM del sonno, fase nella quale il LC dovrebbe normalmente essere silente. Il fatto che ciò non avvenga, mantiene alta la richiesta di noradrenalina: per produrre la quale non abbiamo altro meccanismo che la stimolazione parodontale. È infatti questo meccanismo che si inserisce sulla via noradrenergica durante la vita quotidiana: diciamo appunto “dai, su, stringi i denti” ogni volta che dobbiamo
affrontare una situazione difficile fisica o psicoemozionale. Nello stringere i denti ritroviamo l’energia che ci necessita, è la base della pompa adrenalinica.

Anche l’aumento della sostanza P e degli AE è inserito nel meccanismo fisiologico di lotta allo stress fisico (sempre per azione sulla via noradrenergica) e psicoemozionale.

Il problema è insito nel rimedio: il LC si nutre di noradrenalina, l’interruttore allora non si spegne quando invece dovrebbe farlo, durante la fase REM del sonno.

La stessa sensibilizzazione centrate, corrispondente al rilascio di un eccesso di neurotrasmettitori infiammatori (sostanza P e AE, in grado di attivare, sui neuroni post-sinaptici, oltre ai recettori specifici, i canali NMDA normalmente silenti in condizioni fisiologiche), si riscontra anche a livello spinale, fino alle prime proiezioni radicolari(sempre avvolte da prolungamenti della Dura Madre).

La sostanza P (neuropeptide encefalo-intestinale) è presente in elevate concentrazioni nell’ippocampo, nella neurocorteccia e nel tratto gastrointestinale; è rilasciato dalle fibre periferiche C di piccolo diametro termiche e dolorifiche; è rilasciato dalle fibre postgangliari del sistema autonomo; è presente  infine nelle fibre sensitive del midollo spinale. È un neurotrasmettitore sensibile agli oppiacei e quindi agli oppioidi endogeni, come le endorfine, le encefaline e le dinorfine, presenti nelle regioni coinvolte nella modulazione delle afferenze nocicettive.

Noxae di varia natura possono alterare l’equilibrio endoneurale, iper-stimolando la reazione mastocitaria e portando a un processo infiammatorio neuroimmunogenico: si produce così un edema endoneurale
con conseguente aumento di pressione ed alterazione del flusso capillare all'interno del comparto endoneurale. Tutto questo può essere amplificato da un’altra concomitante reazione mastocitaria; i mastociti, infatti, rilasciano in maniera incontrollata anche il fattore di crescita del nervo (Nerve Growth Factor, NGF). Ne deriva una sintomatologia caratterizzata da torpore, disestesie e parestesie localizzate, dolore, sia neurogenico che neuropatico: MCS (sindrome del comparto endoneuronale).

Alcuni studi cercano di mettere in evidenza, come fattore di causa della sensibilizzazione centrale della SF, l'infiammazione e la disfunzione della fascia. La fascia, infatti, è riccamente innervata e i fibroblasti
secernono citochine pro-infiammatorie (in specie IL-6) in risposta allo stress strutturale. Recenti studi bioptici, con tecniche di colorazioneimmuno-istochimiche, hanno evidenziato l’aumento dei livelli di collagene e dei mediatori infiammatori nel tessuto connettivo che circonda le cellule muscolari, nei pazienti affetti da fibromialgia.
L'infiammazione della fascia è simile a quella descritta in altre patologie da stress strutturale, come la fascite plantare e l’epicondilite (che, ricordiamo, sono presenti in situazioni di sollecitazione anomala posturale) e può essere meglio descritta come un tentativo disfunzionale di riparazione (risposta alla sollecitazione anomala: i tessuti si addensano per far fronte alla aumentata
richiesta).
Questo aspetto, per i meccanismi prima descritti, può essere insito nella genesi dell’aumento di eccitabilità dei neuroni del corno dorsale del midollo spinale.

Interventi mirati al miglioramento della situazione fasciale, di conseguenza, sembrano efficaci nel ridurre la sintomatologia della SF e molti lavori indicizzati lo sottolineano.

Espandendo il concetto: sono stati pubblicati studi che mostrano i risultati positivi, sempre sulla sintomatologia della SF, indotti da trattamenti che in ogni caso agiscono sulle strutture miofasciali, come a esempio il Pilates e l’Osteopatia.

È notorio il beneficio indotto dall’esercizio fisico: l’attività muscolare, infatti, stimola la produzione di endorfine, oppioidi endogeni, che vanno a modulare la funzione della sostanza P delle fibre C di piccolo diametro (dolorifiche e termiche), delle fibre postgangliari autonome, delle fibre sensitive del midollo spinale, della neurocorteccia e dell’ippocampo. Oltre a questo, l’attività muscolare, coinvolgente comunque la fascia, induce direttamente una riduzione della produzione delle citochine pro-infiammatorie, con conseguente diminuzione dell’eccitabilità dei neuroni del corno dorsale del midollo spinale (de-sensibilizzazione centrale).

Consideriamo infine il quadro somatosensoriale: studi indicizzati hanno evidenziato, nella SF, una costante alterazione della somatoestesi, intesa come organizzazione sensoriale composita, visuale e vestibolare. È opportuno ricordare, a questo punto, che la fascia è al servizio della funzione muscolare e sottosta alla somatoestesi, quindi risponde adeguandosi all’informazione e alla funzione con meccanismi di addensamento, allungamento e retrazione.

Se “le catene muscolari rappresentano circuiti in continuità di direzione e di piano attraverso i quali si propagano le forze organizzatrici del corpo”(Busquet), l’intelaiatura, che sostiene l’attività muscolare, la trasmette e fornisce il necessario contrappoggio, è la fascia.
“Ogni struttura connettiva di origine mesodermica (aponeurosi, guaine, tendini, legamenti, capsule, periostio, pleura, peritoneo…) fa parte, sul piano funzionale, di un’unica fascia.
Questa forma l’involucro superficiale del corpo e, attraverso le sue ramificazioni, penetra nella profondità delle strutture fino al rivestimento cellulare. […] Il muscolo è solo una “manovra” al servizio dell’organizzazione generale, cioè al servizio delle fasce.” (F. Moro)

La fascia non è un’entità fisiologica, ma un insieme membranoso molto esteso, in cui tutto è legato, tutto è in continuità, come un’entità funzionale. La minima tensione, che sia attiva o passiva, si ripercuote su tutto l’insieme.

Ogni richiesta di allungamento non condivisa della fascia, genera una tensione dolorosa che scatena, per vie riflesse, delle attivazioni muscolari che hanno la funzione di ritorno di ridurre la tensione stessa
della fascia, facendo diminuire il dolore.

Per sua condizione strutturale, la fascia risponde alle sollecitazioni con meccanismi diversificati: a forze lente e prolungate fa seguito la disposizione in serie delle fibre di collagene e l’allungamento dell’entità; a forze intense e ripetute le fibre di collagene rispondono disponendosi in parallelo (densificazione).

Ricordiamo, inoltre, che il 90% della popolazione presenta uno squilibrio posturale, che si può tradurre in sollecitazione anomala della strutturafasciale, protratta nel tempo; la quasi totalità di questi soggetti ha o ha avuto episodi di dolore legati allo stress fasciale. È facilmente comprensibile che ogni intervento che riporti la fascia alla sua condizione di normalità, migliora la risposta del sistema e riduce la sintomatologia. Questo può rappresentare un contributo importante nella SF.

Inoltre il lavoro così svolto riduce l’input nocicettivo della fascia sul sistema (noxa periferica), inducendo un ulteriore miglioramento, inteso come de-sensibilizzazione centrale.

Un contributo aggiuntivo può essere portato in ipotesi, basandoci sulle esperienze ottenute in studio, dall’Auricoloterapia, vale a dire dall’utilizzo del padiglione auricolare a scopo terapeutico. Scoperta da
Paul Nogier nel 1951, l’Auricoloterapia è stata riconosciuta dall’OMS a Lione nel 1990.
Sul padiglione auricolare vi è una rappresentazione somatotopica a rovesciamento somatico: la mappatura dei punti è stata confermata con la Risonanza Magnetica cerebrale.

Il risultato dell’Auricoloterapia è comprensibile se si prendono in considerazione:



  • la ricchezza di connessioni nervose dell’orecchio (soprattutto con la formazione reticolare) e di
    innervazione (rami del plesso cervicale, nervi cranici V, X e, in misura minore, III, VII, IX)


  • l’importante vascolarizzazione di padiglione, conca e lobo dell’orecchio

  • l’embriologia: proprio per lo sviluppo embriologico, il lobo corrisponde agli organi di origine
    ectodermica; il padiglione agli organi di origine mesodermica; la conca, infine, agli organi di origine endodermica


  • la bioenergetica.


Per tutti questi aspetti, l’Auricoloterapia ha mostrato di avere un effetto specifico sull’organo bersaglio e un importante effetto aspecifico a livello neurovegetativo e neuroendocrino.

L’Auricoloterapia viene usata in Francia su svariate patologie e addirittura come antidolorifico al posto della morfina nei malati terminali.

Un recente studio da noi svolto  e consultabile sul sito dell’Associazione Italiana Posturologi, ha evidenziato interessanti risultati ottenuti dal lato posturale con l’utilizzo di un protocollo di Auricoloterapia, tanto da farcene consigliare l’utilizzo in associazione con le altre metodiche di correzione posturale.

Inoltre altri studi confermano che l’Auricoloterapia induce nell’organo (o nelle strutture) bersaglio, uno stimolo al ritorno al funzionamento normale, là dove le condizioni fisio-patologiche dell’organo (o della
struttura) lo consentano.
Facciamo un esempio minimalista: la nevralgia del trigemino (V).
È un esempio calzante per molti aspetti: in questo quadro sindromico il V, infatti, presenta un’aumentata sensibilizzazione, con iperalgesia, agli stimoli esterni (sonori, termici e luminosi) che normalmente non
dovrebbero generare risposte nocicettive (allodinia). Il V è inserito, come dicevamo prima, nella via noradrenergica del LC e sottostà al ritmo circadiano, per cui risulta essere totalmente silente nella fase REM del sonno. I soggetti con nevralgia del V, infatti, riferiscono di riuscire a dormire bene, in contrasto con la situazione di veglia, che li vede sofferenti in modo pressoché permanente.

Quando però, al momento del risveglio fisiologico, si riattivano i nuclei colinergici pontino-mesencefalici, le cellule noradrenergiche del LC e i neuroni serotoninergici dei nuclei del rafe, il V torna inevitabilmente
a farsi sentire con i propri disturbi.
L’Auricoloterapia in questi casi può dare un aiuto, riducendo questa risposta anomala e alcuni studi condotti in Francia lo evidenziano.
Anche l’agopuntura ha dato risultati in tal senso, ma in questa sede la citiamo soltanto, essendo limitate le nostre conoscenze in merito.

Conclusioni:
Premesso tutto quanto sopra, l’invito che facciamo è a interpretare dal lato terapeutico il sistema, nella SF e in altre forme di allodinia, in senso globale (olistico) e non soltanto farmaceutico, perché le sorprese potrebbero essere quanto mai interessanti. Ricordiamo infatti che la SF è un quadro composito di disturbi che interessano il SN, il sistema somatosensoriale e le strutture periferiche (la fascia), in un dialogo pluridirezionale continuo.

Riassumendo:
La Fibromialgia è una Sindrome caratterizzata da: un’alterazione infiammatorio-disfunzionale della fascia, un’alterazione del sistema somatosensoriale, una sensibilizzazione reattiva centrale di tipo
allodinico.
Un intervento articolato che vada a lavorare in contemporanea sulla noxa periferica (la fascia), sul sistema somatosensoriale (disturbo posturale) e sulla sensibilizzazione centrale (neuroinduzione delle
strutture nervose) può senza dubbio produrre miglioramenti apprezzabili della qualità di vita nella SF e nelle sindromi allodiniche in generale, perché agente, in ipotesi, sia sui sintomi che sulle cause.

Non ci resta che provare e misurare i risultati, se le ipotesi saranno confermate, daremo un contributo importante ai soggetti affetti da Sindromi Allodiniche.

Siamo aperti a proposte e suggerimenti in proposito.

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